Il mio posto è qui by Daniela Porto

autore:Daniela Porto [Porto, Daniela]
La lingua: ita
Format: epub
editore: SPERLING & KUPFER
pubblicato: 2024-02-18T12:00:00+00:00

19

CAMMINARE a braccetto con Gino non le sembrò poi una sensazione così sgradevole, anche se erano tallonati dalla presenza dei suoi genitori e accerchiati da Michelangelo, Italo e Beniamino che si rincorrevano come forsennati.

«Michè», lo riprese subito la nonna da dietro, «statti quetu nu momentu, ti sciùppi u vestitu. Stamu jendu a la missa, non a jocari. Marta, dinci ’ncuna cosa puru tu?»

Ma questa volta la giovane non disse nulla: continuò a parlare con il suo futuro marito, che per la prima volta sembrava interessato a lei come persona e non come affare, come donna che riempisse la casa.

«Pe banchettu di nozze potimu fari là da nui, d’intra a casa nova tua», le stava dicendo. «A maggiu si staci benissimu! In cortili già all’ura di pranzu c’è l’umbra, accussì non ’ndi schjattamu d’u cardu e potimu ’mbiviri senza sudari. Diu sapi quantu!»

«Ma è luntanu arrivari finu a Fontenuova da’ chiesa. Facimu alla casa d’i mei ca esti ’nto paisi.»

«No, no, Marta, è mpossibili! Si faci sempri d’intra a casa nova d’a sposa, non ’nta chilla vecchia. Vedrai, pe tutti l’invitati u corteu finu a Fontenuova sarà nu piaciri! Potarrìamu domandari a Sarduccio si sona ’ncuna cosa duranti u tragittu, u faciarrìa diventari nu spassu. Chi pensi?»

«Sì, sì, mi pari na bona idea», si convinse Marta. Effettivamente poteva essere simpatico. «Certu, c’u vestitu e i scarpi novi… mi sentu mali sulu a pensari a chilla scarpinata!»

«Eeehhh!» esclamò Gino, «Si non s’a fati cchjù, u dici a maritita e ti ci porta lui in braccia finu a supa! Guarda ca sugnu vecchju ma non propiu da jettari.» E ridendo le si avvicinò per stringerla a sé e azzardare a darle un bacio sulla guancia.

A questo primo contatto fisico, Marta riprese il controllo di sé, come se per un breve momento si fosse lasciata andare a fare la mogliettina felice.

Cos’ha di sbagliato Gino? In fondo non fa nulla di male, si disse. Ma quel contatto l’aveva infastidita, quasi intimidita.

Lui percepì la sua ritrosia e continuò: «L’atta mugghjeri non si lamentau mai di mia ’nta tutti chist’anni di matrimoniu. Eu lavuru duru, Marta, e puru illa era brava. Criscìa i figghjioli, tenìa in ordini a casa e sgobbava si c’era da sgobbari. Ma non ci fici mancari mai nenti e illa era felici accussì. Sugnu sicuru ca puru nui saremu felici».

Spaziò con lo sguardo dalla vallata che si estendeva in lontananza ai tetti delle case del paese.

«Guardati attornu: a guerra finiu e tuttu staci tornandu comu prima. U previti chi dici a missa, u mercatu alla chiazza randi, i fimmini a fari figghjoli e l’omini a fatigari.»

Marta si guardò intorno. Effettivamente il paese era stato risparmiato dalla furia dei bombardamenti e non aveva subito grandi devastazioni. Ma lei sapeva che, se si guardava più a fondo, anche le cose inanimate, come i muri delle case, raccontavano di un cambiamento lento ma inesorabile. Pochi però l’avevano capito, e sicuramente tra questi non c’era Gino.

Sui muri campeggiavano scritte che inneggiavano al voto – IL MOSTRO ROSSO VUOLE IL TUO SANGUE.

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